Gianni Monini, Benelli: “Orgogliosi di aver rimesso in sella tanti motociclisti”

5 luglio 2019 - Assieme al responsabile commerciale Italia della Casa pesarese analizziamo il fenomeno Benelli. Successi, prospettive, strategie e logiche di un fenomeno in grande crescita


14jpg

Inutile girarci attorno: Benelli è decisamente tornata a far parte dei marchi che contano davvero. Un vero e proprio fenomeno per l’andamento delle vendite - forte di risultati a dir poco lusinghieri, figli delle ottime prestazioni di modelli come la TRK 502 (qui la prova della versione standard, e qui quella della 502X) e BN 125 - ma anche per la percezione degli appassionati, che stanno accogliendo con sempre maggior favore proposte di sostanza come quelle della Casa pesarese.

E ci teniamo a definirla pesarese, perché al di là del fatto che la proprietà e la produzione siano ovviamente in Cina, presso gli stabilimenti di QJ, tutta la struttura pensante di Benelli è a Pesaro. R&D, Design, Marketing, commerciale Europa, post-vendita, amministrazione e direzione, che naturalmente si raffrontano quotidianamente con le controparti cinesi, sono italiane. E scusate se è poco.

Abbiamo quindi pensato bene di andare a capire meglio il fenomeno andandoli a trovare. E iniziando da Gianni Monini, sales manager Benelli per l’Italia, con il quale abbiamo inquadrato meglio strategie, filosofie e operatività.

Iniziamo con una fotografia del momento: quali sono i mercati di riferimento Benelli?

“Naturalmente i mercati più importanti, in termini di numeri, sono quelli asiatici, e poi - sempre in termini di numeri - il Sud America, soprattutto in Argentina. Poi, naturalmente, c’è l’Europa, con i paesi mediterranei: Italia, Spagna, Portogallo. Comunque, a prescindere dal mercato, abbiamo lo stesso modello. Progettiamo i modelli qui, in collaborazione con la Ricerca e Sviluppo cinese per i modelli globali, e poi li esportiamo direttamente nel mercato di destinazione, senza stabilimenti di assemblaggio sui vari mercati”

In Italia il modello sta dando ottimi risultati, visti i risultati: una crescita forte dell’immatricolato.

“Rispetto all’anno precedente, stando ai dati di fine giugno stiamo facendo un +59% come immatricolato. Tra l’altro abbiamo un dato molto simile come vendite, perché abbiamo scelto un rapporto sell-in/sell-out praticamente coincidente - su modelli come la TRK, BN 125 o Leoncino abbiamo un 97%, i concessionari non hanno praticamente stock. E ci piace dire che il delta del 3% è costituito dai modelli che sono in viaggio verso la rete vendita”

“E’ una scelta commerciale che abbiamo fatto per supportare la nostra rete commerciale: di fatto teniamo noi il magazzino, senza imporre a loro lo stoccaggio. Funziona, perché così il concessionario non viene appesantito, che in casa ha giusto i modelli in attesa di consegna e il minimo da esposizione, anche se ovviamente la cosa ci porta a dover pianificare molto accuratamente il flusso, perché dobbiamo ragionare con tre mesi d’anticipo - quelli che servono per la consegna al concessionario del singolo esemplare”

“Naturalmente non è facile gestire il flusso necessario a sostenere un modello distributivo di questo genere, perché anche solo con le diverse colorazioni la complicazione sale”.

Una strategia che, in effetti, costituisce un grande aiuto per la rete vendita, che diminuisce l’esposizione finanziaria.

“Assolutamente si. Noi crediamo che spetti a noi produrre, ma anche di fatto vendere e far vendere, le nostre moto. I concessionari devono essere un tramite. Dico sempre che preferisco un concessionario che vende le moto, non che me le compra: sembra un controsenso, ma penso che la situazione del dealer che si mette in casa uno stock che poi deve trovare il modo di vendere non funzioni. Non funziona perché porta a strategie commerciali tossiche, a competizioni interne che a lungo andare danneggia la rete. Non ha senso. Ovviamente, non possiamo prevedere il futuro e quindi sapere per quanto può funzionare questo modello commerciale. Però, fino ad ora, ha funzionato, e bene…”

 

Parliamo un po’ dei singoli modelli, quali vanno meglio? A parte naturalmente il TRK, che è un po’ un fenomeno a sé stante. Viene da definirlo un piccolo GS…

“E’ vero. Al momento, nel progressivo annuale, la TRK è al terzo posto, e secondo le mie personalissime proiezioni, per fine anno dovremmo arrivare al secondo - il GS, per tutta una serie di motivi, è difficilissimo da battere. Pensa che proprio oggi abbiamo sforato quota 2.000 TRK, e a fine anno pensiamo di poter arrivare sui 3.000/3.500 esemplari”

“A differenza delle grosse cilindrate, che vendono di più nei primi mesi dell’anno, abbiamo un periodo di picco proprio in questo periodo: luglio, settembre e agosto, compatibilmente con le chiusure delle concessionarie. Con le piccole cilindrate, e i prezzi naturalmente più bassi rispetto ai modelli più importanti e impegnativi, ci sono molti più acquisti dell’ultimo momento, quasi più impulsivi”.

“Sta lavorando benissimo anche la BN 125, che è la ottavo di litro più venduta sul mercato italiano, e anche Leoncino, ma soprattutto non abbiamo modelli in sofferenza con forse solo l’eccezione della BN 302R: il mercato delle sportive è un po’ fermo in tutte le cilindrate, anche se naturalmente in Asia la situazione è leggermente diversa. Ma là le logiche sono completamente diverse, perché la moto è ancora un mezzo legato alla mobilità più che al divertimento. Pensate che spesso ci viene chiesto che il mezzo sia adeguatamente dimensionato per portare tre persone…”

Ma il quattro cilindri? Benelli ha sorpreso tutti, qualche stagione fa,presentando con la BN 600R un quattro cilindri di media cilindrata proprio nel momento in cui tutti scappavano dai plurifrazionati in quel segmento, per poi “scendere” sui bicilindrici. Adesso sembra che stia tornando con una TNT: cosa ci dobbiamo aspettare?

“La BN 600 è nata per una situazione molto particolare, perché appunto per costi di produzione e quant’altro non avrebbe avuto assolutamente senso. Nacque perché in Cina, in quel momento, ci fu una domanda molto importante per le forze di polizia, con una grossa commessa. Benelli ha risposto con questo prodotto, che poi, riveduto e corretto, abbiamo proposto anche sul mercato europeo. Non ha avuto un grande successo, ma è stata anche la 600 più venduta vista la debolezza della concorrenza. La nuova TNT nasce per le esigenze del mercato asiatico, non sappiamo se la commercializzeremo anche in Europa…”

“Diciamo che è una situazione che viviamo spesso, figlia del nostro appartenere al gruppo QJ. Da un lato è un grande vantaggio, perché abbiamo alle spalle una struttura capace di produrre 8.000 moto al giorno, dall’altro è un po’ un limite perché a fronte di quei numeri il nostro peso è relativo, e le scelte vanno mediate. Non è facile convincere una Casa madre a investire nella produzione di modelli secondo i canoni europei, che farebbero numeri risibili rispetto a quelli pensati per il mercato asiatico. Quindi, alla fine, il nostro lavoro quotidiano è quello di mediare fra le varie esigenze, il più delle volte per rendere appetibili anche da noi, con poche differenze, modelli che devono essere venduti sui mercati più importanti”

“Naturalmente, il discorso va nelle due direzioni. Come QJ abbiamo un bellissimo Cub che va fortissimo nei mercati asiatici. E’ bello, fatto davvero bene, lo portiamo tutti gli anni a EICMA perché, essendo una fiera internazionale, serve anche per mostrarlo a clienti non europei. Solo che tutte le volte, quando ci chiedono se lo vogliamo importare, devo rispondere di no. Quanti ne venderemmo, qui da noi?”

Chi è, se c’è, il competitor di riferimento di Benelli?

“Sinceramente, sui mercati europei, o su quello italiano, non abbiamo un competitor - se parliamo di quelli asiatici, naturalmente il discorso cambia. Abbiamo scelto una strada che, a torto o ragione, è piuttosto particolare: di fatto siamo un marchio di nicchia ma allo stesso tempo possiamo dire di non esserlo”.

“Abbiamo scelto la strada di andare a lavorare in una fascia di mercato che non c’era - qualcuno dice che siamo stati fortunati, ma è anche vero che si tratta di una scelta. Le quattro giapponesi, e soprattutto le europee, si concentrano su cilindrate medio-alte. Di conseguenza c’era tutta una fetta di mercato - potenziale, attenzione - da andare ad attaccare. Siamo estremamente orgogliosi di aver rimesso in sella tutta una serie di persone che la moto l’avevano dismessa, proponendo moto poco impegnative come cilindrata, come costi di acquisto e di manutenzione”.

Però siete arrivati fino al 750/800, che sono l’anticamera delle grosse cilindrate…

“Certo, ma ci siamo arrivati per passi - adesso che abbiamo numeri interessanti, diventa importante avere anche modelli più impegnativi e di maggior prestigio. Ecco, lì inizieremo ad avere dei competitor importanti come riferimento. E naturalmente, saranno modelli fatti avendo in mente il mercato europeo più che quelli asiatici”.

 

C’è spazio per quel genere di cubature sul mercato asiatico o è ancora presto?

“Al momento è sicuramente prematuro immaginarsi un successo di quei modelli in Asia, per tanti motivi, uno per tutti quello di normative - per darvi un’idea, per un modello del genere, già solo la targa in Cina costa il corrispondente di circa 8.000 euro, e serve una patente speciale”.

“In Europa però è molto importante, sia da un punto di vista di immagine che di completamento della gamma. In questo momento, per darvi un riferimento, in Italia siamo leader nelle 125, non solo come modelli ma anche a livello di brand. Fra Benelli e Keeway abbiamo il 28% delle quote di mercato delle ottavo di litro. Se saliamo alla fascia 300-500 la quota cresce al 35%, che significa avere oltre un terzo del mercato. E’ evidente che saturando questi segmenti, dobbiamo espanderci verso l’alto”.

E il passo successivo, da un punto di vista strategico?

“Evidentemente prima o poi dovremo crescere ancora arrivando attorno al litro di cilindrata, anche se rimane il problema dei numeri”.

 

Questi modelli, di fatto delle ammiraglie, hanno riflessi positivi in termini di immagine anche sui mercati asiatici?

“Di riflesso sicuramente, perché comunque l’Asia vede ancora l’Europa come riferimento, anche se il fenomeno è in calo. Lo vediamo dalle livree, anche allontanandosi dal discorso Benelli: se prima era l’Europa a guidare in questo tipo di scelte, oggi - visto il perdurare del forte squilibrio a vantaggio dei mercati asiatici - sono sempre più loro a dettare legge”